Saluti del Segretario Generale (Ulisse) e del Comitato Centrale

(nuovo)Partito comunista italiano

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14 agosto 2018

Contributo del (n)PCI al Dibattito Pubblico convocato per il 14 agosto nell’ambito della Festa nazionale di Riscossa Popolare del P.CARC, Marina di Massa

In tutti i maggiori paesi imperialisti e di riflesso nel resto del mondo negli ultimi due anni si è aperta una crisi politica. I gruppi e partiti che da 40 anni a questa parte combinandosi o dandosi il cambio hanno composto i governi dei maggiori paesi imperialisti, non riescono più o hanno crescenti difficoltà a fare i governi. È cresciuta l’insofferenza delle masse popolari per il corso delle cose che la borghesia imperialista ha imposto da quando, circa 40 anni fa, si è esaurita la prima ondata della rivoluzione proletaria ed essa, libera dalla minaccia della rivoluzione socialista, ha preso di nuovo in mano la direzione del mondo. L’insofferenza e l’indignazione delle masse popolari è tale che quei gruppi e partiti nonostante leggi truffa, la crescente astensione e la manipolazione e intossicazione dell’opinione pubblica non riescono più a raccogliere consenso elettorale. In Italia l’esito delle elezioni dello scorso 4 marzo è stato che il tentativo di Sergio Mattarella di formare un governo scavalcando l’esito elettorale, questa volta si è risolto in un fallimento: non solo PD di Matteo Renzi e Forza Italia di Silvio Berlusconi avrebbero dovuto apertamente associarsi, ma, anche con tutte le liste ausiliarie dei due compari del Patto del Nazareno, un loro governo avrebbe avuto la maggioranza parlamentare solo se vi aderiva anche la Lega di Matteo Salvini. Ma con questo la Lega avrebbe dovuto lasciar cadere le promesse elettorali con cui aveva moltiplicato per più di 4, da 1.4 a 5.7 milioni, i voti ottenuti nelle precedenti elezioni del 2013, un suicidio!

Cose analoghe succedono in tutti i maggiori paesi imperialisti, a partire dagli Stati Uniti d’America.

Ma i governi formatisi sulla base dei risultati frutto delle promesse elettorali non sono in grado di mantenere le loro promesse, né in Italia né nel resto del mondo. Per cattiva volontà?

Non è detto e comunque non è questa la questione con cui dobbiamo fare i conti. Il punto è che non sono in grado di mantenerle perché il catastrofico corso delle cose è il risultato delle attività che i gruppi imperialisti svolgono ognuno mosso dal tentativo di valorizzare il suo capitale, in sintesi di moltiplicare ognuno la massa di denaro di cui dispone. Chi di loro non sta al gioco, viene estromesso dagli altri. “Siamo in guerra”, proclamava il defunto Sergio Marchionne e i lavoratori della FIAT hanno visto e vedono i risultati della guerra che lui ha condotto con grande soddisfazione degli azionisti della FCA: i loro soldi si sono moltiplicati.

Il problema è che i gruppi imperialisti nonostante i risultati elettorali continuano ad avere in mano il sistema produttivo e a disporre di gran parte delle istituzioni statali: “le manine” di cui si lamenta Di Maio, i Tito Boeri (INPS) contro cui sacramentano Salvini e Di Maio, la Commissione Vigilanza RAI contro cui inveisce Salvini: un elenco lungo!

Per impedire la delocalizzazione, non basta far pagare una penale: occorre far funzionare le aziende anche se i capitalisti se ne vanno perché a loro comunque conviene. Per questo occorre mobilitare i lavoratori a organizzarsi e a prendere in mano le aziende. Le grandi opere i capitalisti le fanno per moltiplicare il loro denaro, non hanno altra ragion d’essere. Ma “creano posti di lavoro” dice Salvini in questo d’accordo con Renzi e Berlusconi. Ma gli uomini non vivono di posti di lavoro. Per vivere occorrono cibo, vestiti, case e tutte le altre cose e servizi necessari per una vita moderna. Occorre lavorare per produrli, ma di lavoro ne occorre sempre di meno. Ben venga! Il problema è che oggi le aziende sono dei capitalisti che le usano per moltiplicare il loro capitale, quindi licenziano i lavoratori di cui non hanno bisogno e fanno lavorare gli altri come e più di prima. Per questo le aziende non devono più essere solo centri di produzione, ma diventare anche centri di attività sociali, culturali e politiche. Oggi il problema che sta davanti a noi è creare un nuovo ordine sociale in cui un lavoratore non è uno che serve al padrone, ma uno che è padrone di se stesso e della vita sociale, impara a organizzarla e a dirigerla. Se per produrre quello che serve, occorre meno lavoro, tanto meglio! Basta che tutti abbiano quanto necessario e che tutti facciano la loro parte di lavoro e impieghino il resto della loro vita a fare quelle attività specificamente umane da cui oggi i lavoratori sono esclusi. La NATO continua ad espandere le sue guerre e l’industria militare è il settore produttivo che “tira di più”, cioè fa fare più soldi. Se questo resta il criterio che presiede alla società, non ci si scappa. Le condizioni in cui sono costretti nelle campagne i lavoratori, immigrati e no, sono l’indice di dove il capitalismo porta la società.

La via per porre fine a questo corso delle cose è che in ogni azienda i lavoratori più avanzati si organizzino e incalzino il governo Di Maio-Salvini anche, anzi principalmente, adottando da subito loro le misure pratiche che possono far valere già anche solo a livello locale con le forze che già hanno. Il governo non potrà non appoggiarle ... poi da cosa nasce cosa. Tenere in funzione l’azienda che il padrone vuole delocalizzare o ridimensionare; assumere stabili i precari e i lavoratori che il padrone ha preso in appalto; non fare produrre armi per la NATO o per l’Arabia Saudita ma mettere in produzione altro; non lasciare partire la nave o l’aereo con soldati per le aggressioni NATO; continuare a produrre per l’Iran o la Russia nonostante le sanzioni USA e inviarlo; boicottare la presenza sul suolo italiano di militari israeliani e così via. E caso per caso prevenire la reazione del padrone in modo che non possa mobilitare a suo favore quei lavoratori sui quali con la reazione conforme ai propri interessi il padrone riverserebbe le conseguenze delle misure prese dai lavoratori organizzati. Non basta scioperare e protestare, bisogna prendere il posto del capitalista e fare quello che lui non fa; farlo su piccola scala finché i lavoratori organizzati, loro e noi, non abbiamo creato le condizioni per farlo su scala maggiore; prevenire le mosse del capitalista, fino ad estrometterlo, distribuendo a compenso le merci di cui i grandi magazzini e depositi di Amazon, di Carrefour e delle altre grandi aziende rigurgitano.

È un’opera di questo genere che devono mettere in moto tutti quelli che vogliono mettere fine al corso catastrofico delle cose. Non è un’opera facile, ma è un’opera necessaria e possibile.

È a partecipare a questa grande opera nazionale e internazionale di salvezza che il Partito comunista chiama ogni persona di buona volontà e le dà modo di partecipare.

Compagno Ulisse, segretario generale del Comitato Centrale del (n)PCI.